In queste tre settimane Valeria ed io ci siamo limitate a scambiarci qualche sms. L’idea di rincontrarla mi rende nervosa come, direbbe il Leo, un tacchino a Natale. Con la fine delle vacanze, è però arrivato il momento.
Appena apro la porta dell’appartamento, lei mi viene incontro, abbronzatissima.
“Ciao” la saluto, posando le valigie.
“Bentornata” sorride.
Ci baciamo sulle guance. La sua pelle profuma di mandorle.
Al collo porta un ciondolo di ambra. “È una runa celtica, il simbolo della terra, credo. L’ho comprato in Spagna” mi spiega.
Sul mio letto trovo un pacchettino. Guardo Valeria con aria interrogativa. Lei mormora: “Solo un ricordo.”
“Non dovevi” la ringrazio, sfiorandole il braccio con una carezza. Scarto il regalo. Nella scatola c’è una collanina d’argento, un insieme di simboli e figure geometriche intrecciate tra loro.
“Spero che ti piaccia: quando l’ho vista ti ho pensato. Non so perché” dichiara Valeria, timidamente. Vorrei abbracciarla, ma non lo faccio.
A cena mi confida: “Ad Ibiza sono stata con un ragazzo russo. Carino, anche se un po’ finocchio.”
“È durata per tutta la vacanza?”
“No, l’ho lasciato perdere dopo un po'. Beveva troppo… una sera si è scolato un’intera bottiglia di vodka.”
“Perfino Marco è un dilettante, al confronto!”
Valeria mi guarda, non dice nulla.
“C’è una cosa che vorrei fare” accenna, mentre terminiamo il dessert. “Muoio dalla voglia di…”
Sobbalzo, per poco non mi vanno di traverso le fragole.
“…giocare un paio di partite a occhi di serpente” completa, facendomi l’occhiolino.
Andiamo in camera sua, e lanciamo i dadi bianchi, i dadi di madreperla.
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