Arianna è quasi alla fine del suo periodo di preavviso. In questi mesi, come richiestole da De Biasi, ha passato le consegne a me e Giovanni. Lo ha fatto con il solito impegno, il che, dopo le dimissioni, non è scontato. Oggi, però, non sembra affatto concentrata: è irrequieta, e non mi sorprende che mi proponga una pausa caffè dopo appena una mezz’ora. “Devo riprendermi un attimo: ieri ho fatto tardi” cinguetta, facendomi l’occhiolino.
Mentre andiamo verso le macchinette, incrociamo Tassotti, accompagnato da Luigi Bellini, un professore di diritto industriale dell’Università di Pavia che collabora con noi per una causa. Arianna si lancia su di lui con un balzo da leonessa e, battendogli amichevolmente sulla spalla, gli urla: “Hi Hector! How are you?” Lui e Tassotti la guardano a bocca aperta, poi Tassotti si scuote e prosegue il suo cammino. Bellini, scioccato, lo rincorre trotterellando.
“Perché parlavi in inglese a Bellini?” chiedo ad Arianna. “E, soprattutto, perché lo chiamavi Hector?”
“Ma era Bellini, quello?” chiede lei, arrossendo.
“In carne ed ossa” confermo. “L’hai scambiato per qualcun altro?”
Arianna si copre la bocca con la mano: “Mi pareva che fosse Hector Andrade, il corrispondente brasiliano.”
“No, non era Hector Andrade. Era il professor Bellini Luigi detto Gigi. Sta seguendo una causa per un cliente di Tassotti” la informo.
“Che figura!”
Inserisco la chiavetta nel distributore del caffè: “Considerando l'ego dei professori universitari, non sarà stato contento che l’hai confuso con un altro.”
Più tardi incrocio di nuovo Tassotti che, allargando le braccia, borbotta: “Per fortuna tra poco il problema si trasferirà ad Oristano.”
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