domenica 10 febbraio 2019

Sabato 21 gennaio Killer Plastic/3: chiavi

Come inevitabile, Paola ha deciso di prendere una «pausa di riflessione» con Davide. Però è triste: “Malgrado la sua gelosia, mi manca. Prima nel mio appartamento trovavo lettere d’amore e fiori. Ora c’è il silenzio e il gelo.”
Anche il Leo ha i suoi problemi: la nonna ha comunicato ufficialmente di avere diseredato figlie e nipoti a favore del Cinelli, il muratore comunista e gigolo. Tutti i sogni di Leone di smettere di lavorare prima dei trentacinque anni stanno svanendo. “Non disperarti” lo esorto. “Tua madre ha diritto alla quota di legittima.”
“Speravo che avremmo avuto qualcosa di più della legittima” obietta lui. “Contavo di camparci fino alla fine dei miei giorni, con l’eredità della mi’ nonna. Avevo già progettato di andare a vivere a Zurigo.”
Per distrarre i nostri amici in crisi, Valeria ed io organizziamo una serata al Plastic. Lei, a dire il vero, nei giorni scorsi si era dimostrata un po’ riluttante: “Avevo promesso che avrei fatto un salto a Bologna.” Poi però ha cambiato idea: “Ci andrò il prossimo fine settimana, quando tu torni a Montebello.”
Passiamo noi a prendere il Leo, il quale non sembra affatto in forma. Al Plastic balla poco e, pur avendo già bevuto molto a cena, si scola tre Negroni uno dietro l’altro. A un certo punto sparisce. “Dov’è finito?” si domandano Paola e Valeria.
“Non preoccupatevi, è fatto così!” le rassicuro. “Se è stanco, se ne va.”
Al ritorno a casa, verso le cinque e mezzo, lo troviamo addormentato davanti alla porta del nostro appartamento.
“Che ci fai qui?” chiedo, sbigottita.
“Le chiaviiiii!” rantola il Leo, con gli occhi rossi e la bocca impastata. Decidiamo di rinviare i chiarimenti al mattino e gli prepariamo il materasso degli ospiti. Lui, seduto su una sedia, ci guarda con occhi vitrei.
Qualche ora dopo, mentre facciamo colazione, racconta: “Stanotte sono uscito dal Plastic perché ero convinto che steste andando via anche voi.”
“Come ti è venuta questa idea?” chiede Valeria, stupita.
Leone si spalma una fetta biscottata con della marmellata. “Non lo so” ammette.
“Ma il fatto che non fossimo al guardaroba non ti ho fatto pensare?” insiste lei.
“Ho immaginato che aveste già preso le giacche e che foste uscite.”
“E non vedendoci fuori dal locale?”
“Le ipotesi erano due: che vi foste dimenticate di me, o che mi steste facendo uno scherzo. E quindi ho cercato di telefonarvi.”
“Per questo ho trovato ventidue chiamate dal tuo numero!” osservo.
“Sì. Il cellulare di Valeria era spento, ma il tuo suonava.”
“L’avevo dimenticato qui a casa, acceso. Però, scusa, perché non sei andato a casa in taxi?”
“Perché avevo lasciato le chiavi nella Panda di Valeria!” spiega paziente il Leo. “Anche se ci fossi arrivato, non sarei potuto entrare. Quindi mi sono avviato a piedi verso via Gioia, sperando che prima o poi avresti risposto al cellulare e sareste tornate indietro a prendermi. O perlomeno a restituirmi le chiavi.”
“E come hai fatto a penetrare nel palazzo?” chiede Valeria, incuriosita.
“Mi ha fatto entrare una signora. Squisita, devo dire.”
Il sorriso mi si congela sulle labbra e lo guardo allarmata “Spero che tu non abbia fatto il nostro nome!”
“Mi pare di no, ma non potrei giurarlo. Non so se ho reso la situazione, ma non ero nel pieno possesso delle mie facoltà.”
“Lo scopriremo presto!” mormora Valeria. “Se i vicini non ci saluteranno più, vuol dire che ormai ci associano ai tuoi deliri etilici.”
“Cosa hai fatto, dopo essere entrato?” chiedo io.
“Sono salito al tuo piano e, arrivato davanti alla porta, ti ho chiamato di nuovo al cellulare. L’ho sentito che squillava e allora mi sono definitivamente convinto che foste in casa. Ho continuato a suonare come se non ci fosse un domani, fino a che, pietoso, mi ha colto il sonno.”
“Non so se diffondere questa storia” rifletto, dubbiosa. “Mi piacerebbe svergognarti, ma neanche noi ci facciamo una grande figura. Che razza di persone siamo, se i nostri amici sospettano che li abbandoniamo per strada?”

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